mercoledì 3 giugno 2015

Danny l'eletto, di C. Potok

Mi parve che si trovasse in uno stato d'animo strano, meditabondo. Cominciavo a sentirmi a disagio. «Leggo parecchio,» proseguì. «Circa sette o otto libri alla settimana oltre a quelli per la scuola. Hai mai letto Darwin o Huxley?»
«Ho letto qualcosa di Darwin,» risposi.
«Io vado a leggere in biblioteca, così mio padre non lo sa. È molto rigido per quanto riguarda le mie letture.»
«Leggi dei libri sull'evoluzione e su argomenti del genere?»
«Leggo tutti quelli su cui riesco a mettere le mani, purché siano buoni. Adesso sto leggendo Hemingway. Ne avrai sentito parlare, di Hemingway, eh?»
«Si capisce.»
«Hai letto nulla di suo?»
«Qualche racconto.»
«Io ho finito Addio alle armi la settimana scorsa. È un grande scrittore. Il romanzo tratta della prima guerra mondiale. C'è un americano che combatte nell'esercito italiano. Sposa un'infermiera inglese. Solo che non la sposa davvero: vivono insieme, e lei rimane incinta e lui diserta. Scappano in Svizzera, e lei muore di parto.»
«Non l'ho letto.»
«Hemingway è un grande scrittore. Ma quando lo leggi ti si presentano una quantità di domande. In un brano del libro ci sono delle formiche che rischiano di bruciare su un pezzo di legno. Il protagonista, questo americano, sta a guardarle, e invece di togliere il pezzo di legno dal fuoco e di metterle in salvo, butta dell'acqua sul fuoco. L'acqua diventa vapore che uccide alcune formiche, e le altre muoiono bruciate sul pezzo di legno oppure cadono nelle fiamme. È un brano magnifico. Dimostra quanto si possa esser crudeli.»
Mentre parlava, Danny non distoglieva lo sguardo dalla finestra. Ebbi una mezza idea che parlasse più a se stesso che a me.
«Sono talmente stufo di studiare il Talmud e sempre il Talmud. È roba fritta e rifritta, e alla lunga finisce col diventare abbastanza noioso. Ecco perché leggo qualsiasi cosa mi riesca di arraffare. Ma leggo unicamente quello che val la pena di leggere, stando al giudizio della bibliotecaria. In biblioteca ho incontrato un tale che si è messo a suggerirmi le letture indicate. Buffa, quella bibliotecaria: è un'ottima donna, ma non mi toglie un momento gli occhi di dosso. Probabilmente si domanda a che scopo un ragazzo come me legga tutti quei libri.»
«Quasi quasi me lo domando anch'io.»
«Il perché te l'ho detto. Mi annoia studiare soltanto il Talmud. E in fondo l'inglese che facciamo in classe non mi appassiona gran che. Credo che gli insegnanti d'inglese abbiano paura di mio padre. Hanno paura di perdere il posto se dicono qualcosa che stimoli troppo la mente o la fantasia o l'entusiasmo. Chissà. Ma è eccitante, poter leggere tutti quei libri.» (pp. 105-107)

[...] «Ecco mio padre,» dissi alzandomi in fretta.
Mio padre era uscito dall'ascensore in fondo al corridoio e stava dirigendosi verso la corsia oculistica. Mi preparavo a chiamarlo presso di noi, ma quando fu arrivato a pochi passi dall'ingresso della corsia ci vide. Se provò meraviglia nel vedermi insieme a Danny, non la lasciò trasparire. Il suo viso non cambiò espressione. Invece, man mano che lui si avvicinava a noi, notai che la fisionomia di Danny si alterava radicalmente, passando dalla curiosità allo sbigottimento e alla confusione. Compresi ch'era nervoso e agitato, ma non ebbi il tempo di riflettere sul motivo di quel cambiamento, perché mio padre era già davanti a noi e ci stava osservando. Portava il vestito grigio scuro con la giacca a doppio petto e il cappello grigio. Era parecchio più basso di Danny e poco più basso di me, e aveva la faccia ancora pallida e stanca. Appariva trafelato, e teneva il fazzoletto nella destra.
«Ho fatto tardi,» disse. «Temevo che non mi lasciassero passare.» Aveva la voce fievole e rauca. «Abbiamo avuto una riunione di facoltà. Come stai, Reuven?»
«Benissimo, abba.»
«Ti è permesso di trattenerti nel corridoio a quest'ora?»
«Ma sì, abba. Quell'uomo che ha il letto accanto al mio si è sentito male all'improvviso e non volevamo disturbarlo. Abba, ti presento Danny Saunders.»
Vidi un tenue sorriso spuntargli agli angoli delle labbra. Salutò Danny con un cenno del capo.
«Danny, questo è mio padre.»
Danny tacque. Rimase immobile, senza distogliere lo sguardo da mio padre, e vidi che questi lo scrutava attraverso le lenti cerchiate di metallo, sempre con quel mezzo sorriso fluttuante sulle labbra.
«Non sapevo...» cominciò Danny, e s'interruppe.
Durante un lungo minuto di silenzio Danny e mio padre continuarono a guardarsi, mentre io li fissavo tutti e due, e nessuno di noi disse nulla.
Fu mio padre a rompere finalmente il silenzio. Lo fece con delicatezza, con un pacato calore nella voce. Disse: «Dunque, Danny, ho sentito che giochi a baseball oltre a leggere un libro dopo l'altro. Spero che tu non tratti i libri con la stessa violenza con cui ti butti sulle palle da baseball.»
Ora fui io a restare sbalordito. «Conoscevi già Danny?»
«In un certo senso,» rispose mio padre, sorridendo apertamente.
«Non... non avevo idea...» balbettò Danny.
«Come potevi averla?» chiese mio padre. «Non ti ho mai detto il mio nome.»
«E lei ha sempre saputo chi ero?»
«L'ho saputo soltanto dopo la seconda settimana, chiedendo informazioni alla bibliotecaria. Una volta facesti la domanda di abbonamento, ma non hai mai ritirato la tessera.»
«Avevo paura.»
«Me n'ero accorto,» disse mio padre.
Compresi a un tratto ch'era sempre stato lui a consigliare a Danny i libri da leggere. Era mio padre, quel tale che Danny trovava in biblioteca.
«Ma non me l'avevi mai detto!» esclamai.
Mio padre mi guardò. «Cos'è che non ti avevo mai detto?»
«Non mi avevi mai detto che vedevi Danny in biblioteca. Non mi avevi mai detto che gli davi dei libri da leggere.»
Lui portò lo sguardo su Danny, poi lo riportò su di me. «Ah,» disse, «capisco che sai già la storia di Danny e della biblioteca.»
«Gliel'ho raccontata io,» interloquì Danny. La sua tensione nervosa cominciava a allentarsi un tantino, e l'aria di stupore gli era scomparsa dal viso.
«E per quale motivo avrei dovuto dirtelo?» riprese mio padre. «Un ragazzo mi si rivolge perché lo consigli sulle sue letture. Cos'altro resta da aggiungere?»
«Ma in tutta la settimana, anche dopo l'incidente, non hai mai detto una parola.»
«Non giudicavo spettasse a me informartene,» rispose tranquillamente mio padre. «Un ragazzo arriva in biblioteca, sale al secondo piano, entra nel reparto dei periodici, si guarda cautamente intorno, trova un tavolo dietro uno scaffale dov'è difficile che qualcuno lo noti e si mette a sedere per leggere. Certi giorni ci sono anch'io, lui mi avvicina, si scusa d'interrompere il mio lavoro e mi domanda se posso consigliargli un libro. Lui non conosce me, io non conosco lui. Gli chiedo se gli interessa la letteratura o la scienza, e mi risponde che gli interessa tutto quanto vale la pena di esser letto. Gli suggerisco un libro, e due ore dopo me lo vedo tornare davanti, mi ringrazia e mi annuncia che ha finito di leggerlo: c'è qualcos'altro che potrei raccomandargli? Rimango leggermente meravigliato, discutiamo il libro per un po' di tempo, e constato che non solo lo ha letto e capito, ma addirittura imparato a memoria. Quindi gliene do da leggere un altro, un libro un tantino più difficile, e si verifica lo stesso fenomeno. Il ragazzo legge il libro fino in fondo, torna da me, e discutiamo anche questo. Una volta gli chiedo come si chiama, ma mi accorgo che s'innervosisce e mi affretto a cambiar discorso. Poi interrogo la bibliotecaria sul conto suo, e allora mi spiego ogni cosa, perché ho già sentito parlare del figlio del rabbino Saunders. Gli interessa molto la psicologia, lui mi dice. E perciò gli consiglio altri libri. Sono ormai quasi due mesi che gli segnalo letture adatte, non è vero, Danny? Credi proprio che avrei dovuto informartene, Reuven? Toccava a Danny informarti, se voleva, non a me.»
Mio padre ebbe un breve accesso di tosse e si asciugò le labbra col fazzoletto. Tacemmo tutti e tre per alcuni momenti. Danny teneva le mani in tasca e guardava il pavimento. Io stavo ancora cercando di riavermi dalla sorpresa.
«Le sono riconoscentissimo, professor Malter,» disse Danny. «Di tutto quanto.»
«Non hai motivo di essermi riconoscente, Danny. Mi chiedevi dei libri, e io te li segnalavo. Presto sarai in grado di scegliere da solo le tue letture e non avrai bisogno dei consigli di nessuno. Se continuerai a venire in biblioteca, t'insegnerò a consultare le bibliografie.»
«Ci tornerò,» disse Danny. «Si capisce che ci tornerò.»

In verità sono moltissime le pagine dedicate alla biblioteca, luogo davvero centrale di questo romanzo. Mi sono limitata a citare le prime pagine in cui Potok ne parla.

* Danny l'eletto / Chaim Potok. - Milano : Garzanti, 1998. - 357 p. - (Gli elefanti ; 600). - ISBN: 881166831x

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